Una dolorosa assenza
Prato, 16 Gennaio 2021
Una dolorosa assenza. Questo è il teatro al tempo della pandemia.
Ci mancano le luci, il brusio prima dell’alzarsi del sipario, le parole, la musica, i corpi in scena, le pause piene di “silenzio uditivo”, come Giorgio Albertazzi definiva quei momenti magici di sospensione e di attesa.
Ci manca il ritrovarsi, pubblico e artisti, a condividere un’esperienza culturale unica, un rito collettivo insostituibile senza l’apertura degli spazi teatrali. Ma soprattutto manca il lavoro per tutto un settore, quello dello spettacolo dal vivo, che è vitale non solo per la nostra economia, ma per la comunità civile.
Nella sola Toscana migliaia di persone – musicisti, attori, danzatori, performers, tecnici, organizzatori – sono senza lavoro. La grande fabbrica della creatività legata allo spettacolo dal vivo ha chiuso i battenti da quasi un anno e, da un DPCM all’altro, non è dato sapere se e quando potrà ricominciare ad aprirsi al pubblico.
Oggi che si riaprono i musei e gli spazi espositivi è un giorno di festa per la cultura, che è l’essenza più profonda dell’identità italiana; al tempo stesso diventa più cocente la perdurante chiusura dei teatri, che, dopo la prima ondata dell’epidemia, si erano dotati di tutti i dispositivi dettati dalle norme anti Covid: distanziamento fra le poltrone, mascherine, sanificazione, accessi e percorsi differenziati.
I festival dell’estate 2020 e tutti gli spettacoli negli spazi all’aperto avevano registrato una buona partecipazione del pubblico, Eravamo disposti a tornare in scena con un terzo degli spettatori, anche affrontando le perdite economiche inevitabili, pur di non far mancare un’offerta di contenuti che rende migliore la vita. Ma il 24 ottobre è arrivata una nuova delusione: teatri e cinema chiusi fino alla conquista di una mitologica “zona bianca” che non è possibile intravedere almeno fino alla tarda primavera. E non si è vista una spinta alla riapertura analoga a quella che si è avvertita per altri settori, dalla ristorazione allo sport, come se la cultura non fosse una componente altrettanto essenziale del nostro sistema di vita.
Bisogna riconoscere che dal governo sono arrivati i ristori in quantità mai viste prima per il settore dello spettacolo, anche se distribuiti con un metodo che l’economista Milton Friedman definiva “helicopter money”, cioè aiuti gettati dall’elicottero, a distanza, senza approfondire i meriti e i bisogni veri. Qualcuno ha ricevuto più del necessario, qualcuno niente, come spesso avviene nelle situazioni emergenziali. Ma il problema di fondo è che servirebbero aiuti per ripartire, non indennizzi per la mancanza di lavoro.
Come potrà riprendere la nostra attività? Cosa ci ha insegnato questa frattura? E come potrà collocarsi lo spettacolo nella ricostruzione del tessuto sociale ed economico delle città? Grande dibattito si è aperto in questi mesi sull’utilizzo di piattaforme e canali alternativi rispetto alla modalità live e ci sono stati esempi eccellenti di distribuzione di spettacoli in streaming o in video. E’ stata presentata nei giorni scorsi l’iniziativa ITsART, più volte descritta dal ministro Franceschini come la Netflix dello spettacolo dal vivo.
E’ probabile che il digitale, che è stato di grande aiuto per non condannare del tutto al silenzio un intero settore in grande sofferenza, continuerà ad affiancare in futuro la modalità di fruizione classica anche quando saranno finalmente riaperti i teatri. Per la musica soprattutto, molto meno per la prosa, potrà essere un veicolo di diffusione delle nostre eccellenze all’estero e per fasce di pubblico che non potranno più recarsi a teatro. Ma non possiamo consentire che questo avvenga, in nome di un supposto quanto ingenuo anelito all’innovazione, con un travaso di risorse dallo spettacolo dal vivo, che già prima della pandemia soffriva di gravi carenze.
Ci piacerebbe sentir dire dai decisori pubblici a livello nazionale– purtroppo in queste ore affannati a risolvere qualche altra piccola questione – che lo spettacolo dal vivo è una componente non secondaria del piano di rilancio che va sotto il nome di Next Generation EU, strettamente collegato all’istruzione, al turismo, alla rigenerazione urbana, alla stessa tenuta democratica.
Nelle antiche mappe la presenza di un edificio adibito al teatro, insieme ai luoghi di culto e di cura, era il presupposto per distinguere le città dal contado. E ancora oggi, dopo questa enorme tragedia del Covid, quando la polis, il territorio, il vicinato hanno dimostrato tutto il proprio insostituibile valore, il teatro si fa dal vivo e non a distanza, perché innerva la comunità di valori civili e mai come adesso se ne sente il bisogno. Non c’è nulla di più innovativo e contemporaneo, diverso ad ogni apertura di sipario, perché pubblico e attori interagiscono insieme. Emanuele Trevi, scrittore e sceneggiatore lo ha definito così: “Il teatro è come il cielo: quando lo guardi è già diverso”.
Beatrice Magnolfi